Ogni venerdì sera Greta e Luca preparano la “valigia dell’aria pulita”: vestiti, biberon, qualche libro. Poi lasciano Milano con la loro bambina di sette mesi, su consiglio del pediatra. Vivono in zona Forlanini, tra traffico intenso e le piste d’atterraggio di Linate. «Ha tosse, allergie, stanchezza continua. Quando restiamo qui peggiora», racconta Greta, 33 anni, che lavora nelle risorse umane di una multinazionale dell’energia rinnovabile.

Non sono soli. Sta nascendo una nuova abitudine tra i genitori milanesi: una “migrazione del venerdì” per portare i figli lontano dallo smog, almeno per un weekend. C’è chi parte per due giorni, chi anche solo per ventiquattr’ore. «È una comunità silenziosa – dice Greta – ci scriviamo, ci organizziamo, controlliamo le app sulla qualità dell’aria. È come vivere in una zona rossa permanente».

L’organizzazione è complessa, e il bilancio familiare ne risente. Ma per molte famiglie è diventata una forma di sopravvivenza. «Quando torniamo la domenica sera e rivediamo la cappa grigia sopra lo skyline, mi vengono i brividi», dice Greta.

In questa routine forzata si riflette un tema sempre più evidente di ingiustizia ambientale e sociale: la città è spaccata tra chi può permettersi di “scappare” e chi resta a respirare un’aria malsana. «Il diritto alla salute non dovrebbe dipendere dal conto in banca», sottolinea.

Greta e Luca fanno la loro parte: usano quasi sempre la bici o i mezzi pubblici, evitano l’auto, cercano di vivere in modo coerente con i propri valori green. Ma chiedono anche politiche urbane più coraggiose: piste ciclabili sicure, mezzi pubblici frequenti, investimenti veri sulla qualità dell’aria e sull’edilizia sostenibile.

«Portare via i figli per farli respirare è un gesto politico, anche se doloroso», conclude Greta. Un paradosso che racconta la Milano di oggi: una città che corre, produce, inquina — e che ogni fine settimana si svuota un po’, mentre i suoi bambini vanno a cercare ossigeno altrove.

Fonte: Corriere.it