Si presenta come una vera discesa verso gli inferi la stazione Chiaia/Santa Maria degli Angeli della Linea 6 la cui magnificenza la candida di diritto a strappare a Toledo il primato di ‘stazione più bella del mondo’; ma con la quale, tuttavia, ha in comune la matrice duale che identifica la nostra città: acqua e fuoco, orizzonte e tenebre, vita e morte. L’artista britannico Peter Greenaway chiamato ad offrirci la sua interpretazione di una città così stratificata e complessa ha attinto a piene mani al mito classico per restituirne la suggestione leggendaria, urbanistica, umana, storica.
A condurci in questo lungo viaggio è Giove, Dio degli dei che ci invita a una discesa dolce per una lunga scala inondata di luce sul cui parapetto è iscritta la frase di Ovidio “Est in aqua dulci non invidiosa voluptas” che tradotta dovrebbe suonare più o meno come “Nel (bere) acqua dolce (vi) è un gioioso piacere”.
Sembra metterci in guardia Giove, prepararci ad abbandonare la nostra zona di comfort, la dimensione arcadica che tra qualche metro più in giù sarà solo un ricordo.
La discesa per la rampa a spirale – che strizza l’occhio al Guggenheim – rimanda al ciclo dell’acqua la cui memoria cellulare è eterna e ci conduce dritta dritta a una terra di mezzo: è il regno di Cerere, ce lo ricorda il colore verde prato con cui sono dipinte le pareti, un verde che è destinato a breve a declinare nel giallo, come qualunque pianta che appassisca fino a morire. Cerere è la madre disperata di Proserpina, rapita per andare in moglie al Dio degli inferi e da questi ingannata a nutrirsi di sei semi di melograno (che troviamo al livello sottostante della stazione). Nella sua dannata ricerca Cerere abbandona la cura delle messi precipitando il mondo verso un’orrenda carestia. È tempo di compromessi: la terra tornerà a produrre i suoi frutti grazie alle cure di Cerere la quale potrà riabbracciare finalmente la figlia amata solo per pochi mesi all’anno. Proserpina vivrà nelle tenebre tanti mesi quanti chicchi avrà mangiato: un tempo lungo a passare in cui la terra è in lutto, ne piange l’assenza, fino all’arrivo prepotente della primavera, tempo di vita e di rinascita.
Siamo al punto zero: si può uscire e perdersi nello shopping di via Chiaia o proseguire la discesa nel regno dei morti.
I più audaci troveranno ad attenderli una dimensione ostile, un luogo tetro governato da centinaia di occhi che se da un lato ci fanno pensare ad Argo, il fido guardiano di Giove, dall’altro ci rimandano a quella dimensione onirica e disturbante di “Io ti Salverò” il capolavoro di Hitchcock per le cui scenografie più raccapriccianti il regista si avvale del lavoro di Salvador Dalì.
Siamo arrivati al termine del nostro viaggio: Giove ci aveva avvertito, meglio è bere acqua dolce. Chi ha osato sfidare gli dei è chiamato a confrontarsi con la dimensione buia e misteriosa dell’inconscio, porta d’accesso di mille altri viaggi.