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La ragione mercantilista di Assotir e le mani legate dei sindaci

Novembre 28, 2023
Il TAR della Lombardia ha annullato la delibera di giunta sull'angolo cieco dei mezzi pesanti. Assotir canta vittoria, ma la vera lezione di questa vicenda è che i sindaci hanno molto meno spazio di azione di quanto si creda. Serve un rinnovato patto tra amministratori e società civile per difendere la possibilità di sperimentare modi e tempi della città delle persone.

Il TAR della Lombardia ha annullato la delibera di giunta con cui si introduceva l’obbligo per i proprietari di mezzi pesanti di dotarsi di dispositivi di controllo dell’angolo cieco. Il provvedimento era stato preso dalla giunta Sala in risposta all’ondata di ciclisti morti in strada, uccisi senza eccezioni da conducenti di camion, tir e altri mezzi pesanti.

Si trattava di una misura minima, peraltro soggetta a numerose attenuazioni (l’obbligo di installazione vero e proprio partiva dall’Ottobre 2024, per ora bastava poter dimostrare di aver acquistato il dispositivo), che in altre città europee è norma da tempo, e che serviva ad avviare in punta di piedi il percorso verso la Vision Zero, ovvero l’obiettivo di zero morti sulle strade.

Sono due i messaggi chiave dell’editoriale con cui il presidente di Assotir Claudio Donati celebra la vittoria nel ricorso al TAR.

 

Il primo: gli autotrasportatori sono vittime di una volontà persecutoria.

Donati definisce quello dell’autotrasporto “un settore messo sotto i piedi da troppi”. Affermazione grottesca, se si considerano le anacronistiche prebende e i trattamenti di favore di cui l’autotrasporto gode tuttora con fondi dello Stato, nonché i miliardi delle nostre tasse investiti per il potenziamento e l’ammodernamento delle infrastrutture di cui l’autotrasporto necessita.

Donati continua raccontando che “della [delibera] si sono lamentati in tanti, ma poi, al momento di giocare la partita, non c’è stato affollamento. Adesso, ovviamente, si assiste all’assalto al carro dei vincitori, e parecchi provano a saltarci sopra. Rimane il fatto che, per l’autotrasporto merci, solo Assotir e i suoi coraggiosi trasportatori […] hanno firmato il ricorso”.

In cosa consiste esattamente il coraggio degli autotrasportatori? Nell’aver voluto affossare una norma sacrosanta che al prezzo per loro di poche centinaia di euro avrebbe consentito di salvare la vita a chissà quante persone nel corso dei prossimi anni. Siamo nel campo della neo-lingua: l’interesse pecuniario è coraggio; i timidi tentativi di decarbonizzare il settore e di diversificarne le modalità operative sono un sopruso.

È evidente che per Assotir e i suoi iscritti le merci contano più delle persone; il risparmio di qualche euro conta più della vita di qualcun altro e della serenità degli stessi conducenti dei mezzi pesanti, per i quali, al netto dell’errore umano, non è certo piacevole dover rischiare ogni giorno di rendersi responsabili della morte di qualcuno.

La retorica del vittimismo non dovrebbe però stupirci. Di questa potente leva psicologica è impastata tutta la strategia di chi oggi, dal ministro Salvini, alle lobby dell’economia fossile, giù giù fino al privato cittadino che non vuole rinunciare al proprio SUV, si oppone in ogni modo alla transizione ecologica e alla trasformazione urbana verso città delle persone.

Vale però la pena di ricordare che dietro questa strategia di offuscamento si celano interessi economici ben precisi, e che quelle che in Italia chiamiamo “associazioni di categoria”, all’estero sarebbero etichettate come “lobby”. Le associazioni come Assotir sono infatti chiaramente portatrici di interessi privati, che esse cercano di affermare nel campo della politica. In quanto tali, sarebbe sbagliato esprimere su queste un giudizio esclusivamente morale, poiché il piano su cui si misurano i vertici di Assotir e sul quale devono rendere conto del proprio operato agli iscritti non è certamente quello etico.

Il discorso di Assotir non è altro che l’applicazione di una ragione mercantilista, la stessa che ha governato buona parte delle scelte che negli ultimi decenni ci hanno portato ad essere il paese con il più alto tasso di motorizzazione e la peggiore qualità dell’aria d’Europa.

Il problema è ritenere, come fanno alcuni, che il punto di vista di una lobby tesa a massimizzare i vantaggi economici per i propri iscritti debba contare quanto quello dei cittadini che chiedono sicurezza in strada e dell’elettorato che ha dato mandato al sindaco Sala e al consiglio comunale di governare Milano su una piattaforma di trasformazione in senso green della città.

È giusto che gli operatori economici siano ascoltati, e che chi governa la città tenga conto anche delle loro esigenze operative, ma non al punto di subordinare a queste l’approvazione di misure urgenti per ridurre l’inquinamento dell’aria, decarbonizzare la società e garantire sicurezza e spazio per tutti.

 

 

Il secondo messaggio chiave dell’editoriale del presidente di Assotir è riassumibile così: la politica deve lasciarci fare, e qualunque ostacolo essa frapponga tra gli attori economici e il loro profitto è un abuso.

Per Donati il problema è che “la politica – spesso con la complicità degli apparati tecno-burocratici – va con troppa leggerezza (a volte, con arroganza) oltre i limiti che la legge le impone. Forse anche perché non succede mai niente: c’è qualcuno che sbaglia, ma nessuno paga”.

Quello che appare come un rovesciamento di senso, è in realtà l’affermazione trasparente che la politica deve sottostare alle esigenze dell’economia. Su questa architrave ideologica si è costruita la società che conosciamo oggi. Essa va smantellata, se chi ci governa – dal livello municipale a quello sovranazionale- intende seriamente raddrizzare le storture di un paradigma economico che ha fatto dell’estrazione di risorse e profitto la sua priorità assoluta, quasi sempre ai danni delle persone e dell’ambiente da cui dipendiamo per la nostra sopravvivenza e il nostro benessere.

Peraltro, l’approccio di Assotir e delle tante altre lobby che cercando di ostacolare la transizione ecologica e verso città delle persone denota una sconvolgente miopia. In buona parte delle economie avanzate, i principali attori economici si stanno accorgendo delle enormi opportunità da cogliere nel mondo dopo il petrolio e dopo la centralità dell’automobile privata. Non in Italia, dove gli attori economici sono lesti nel gridare al sopruso della politica quando sono toccate le loro prerogative, e altrettanto lesti nel chiederne il supporto economico non appena il mercato risponde negativamente alle loro scelte.

Per fortuna ci sono aziende che hanno deciso di essere parte della soluzione e non più del problema. Tra queste, lo abbiamo capito, non figurano gli associati di Assotir.

 

Dal punto di vista di chi invece non rappresenta un interesse privatistico, ma guarda al bene comune, la vicenda della delibera di Milano è la dimostrazione plastica dell’impotenza (relativa) delle amministrazioni comunali. Malgrado la riforma del Titolo V della Costituzione, il principio di sussidiarietà e le ondate di devoluzione susseguitesi negli anni, la verità è che i nostri sindaci hanno uno spazio di manovra assai più ristretto di quanto pensiamo.

Se non è una legge, ad impedire a un sindaco italiano di fare quanto i suoi omologhi europei fanno senza problemi, sarà l’intricata selva di regolamenti, codicilli, manuali tecnici e decreti ministeriali a trasformare in un’odissea anche la realizzazione di interventi minimi come la delibera sull’angolo cieco, o l’installazione di cuscini berlinesi per ridurre la velocità su strade residenziali e vicine alle scuole.

E allacciamoci le cinture, perché qualora la controriforma del Codice della Strada voluta dal ministro Salvini con la scusa del boom dell’insicurezza stradale fosse votata così com’è, i nostri sindaci dovrebbero chiedere l’autorizzazione al ministero anche per starnutire. ZTL, gestione della sosta, infrastrutture ciclabili e altre leve cruciali dell’azione amministrativa in tema di mobilità urbana dovranno attendere l’emanazione di altrettanti decreti ministeriali che ne definiranno i limiti e gli ambiti di applicazione.

Questo l’apparente paradosso: il politico della Lega (ex Nord) che è arrivato più vicino alla presidenza del Consiglio ha consegnato alle Camere un testo che ammanetta in modo irrimediabile i sindaci.
La ragione è molto semplice: la transizione ecologica passa anche dalla trasformazione dei sistemi di mobilità urbana, ma le tante lobby grandi e piccole che hanno in Salvini un alleato vogliono invece che nulla cambi. Nel calderone ci finiscono l’auto elettrica, le infrastrutture ciclabili, le restrizioni alla circolazione dei veicoli inquinanti (pure scelta obbligata, viste le ripetute infrazioni della normativa europea sulla qualità dell’aria), persino le corsie preferenziali degli autobus, i tram e la gestione della sosta su strada.

Più che mai, è in gioco la stessa possibilità per i rappresentanti democratici dei cittadini milanesi e di tutte le altre città italiane di dare una forma nuova all’ecosistema urbano: una forma che metta finalmente al centro le esigenze delle persone, e non (solo) quelle di un pezzo di economia. Quel pezzo di economia che dalla transizione ecologica crede di avere molto da perdere, soprattutto perché invece di impegnarsi per farne parte, sta facendo di tutto per frenare ciò che non si può frenare, solo navigare.

Per questo non solo ci auspichiamo che il comune di Milano ricorra immediatamente al Consiglio di Stato sulla vicenda della delibera, ma anche che si formi un fronte forte di sindaci e cittadini in difesa della possibilità di sperimentare modi e tempi della città delle persone. Ora più che mai, non possiamo permetterci passi indietro, solo salti in avanti.

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