Il TAR Emilia-Romagna, con sentenza depositata nella giornata di ieri, 11 novembre, ha respinto, dichiarandolo inammissibile, il ricorso proposto la scorsa primavera da due tassisti per annullare i provvedimenti del progetto “Bologna Città 30”, contro il quale si era costituito in giudizio anche il Ministero dei trasporti.
Dopo la già avvenuta rinuncia dei ricorrenti alla sospensiva urgente nell’udienza cautelare del 16 aprile e a seguito della discussione nell’udienza di merito del 23 ottobre, il TAR, pronunciandosi in via definitiva, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire. Il cuore della motivazione è la mancata dimostrazione di una lesione effettiva e attuale agli interessi economici e di un danno concreto all’attività imprenditoriale dei tassisti derivante dall’abbassamento della velocità a 30 km/h in determinate strade cittadine, e perciò l’assenza di una utilità per loro dall’eventuale annullamento della misura, che, viceversa, viene esplicitamente riconosciuta come funzionale alla tutela della pubblica incolumità.
Secondo la sentenza, il ricorso, la cui legittimazione era stata motivata in relazione agli “effetti negativi che i provvedimenti censurati produrrebbero sull’esercizio dell’attività lavorativa”, è affetto dalla “mancata dimostrazione del danno che i ricorrenti vorrebbero evitare”, nel senso della “mancanza di dati oggettivi e concreti sugli effetti economici della lamentata riduzione delle corse”. Il ricorso, infatti, “non fornisce alcun dato che quantifichi la perdita che i ricorrenti subirebbero per effetto dell’applicazione dell’avversata misura di riduzione della velocità”, che l’Amministrazione comunale aveva sempre sostenuto non comportare nessuna significativa variazione ai tempi di percorrenza e quindi nessun danno per chi lavora.
I Giudici hanno per di più riconosciuto espressamente che – al contrario di quanto affermato dai ricorrenti – il provvedimento, oltre a non comportare alcun danno economico provato, non viola il diritto costituzionale alla mobilità né ostacola il lavoro: secondo la sentenza, infatti, l’applicazione dei 30 km/h non limita la libertà per i cittadini di muoversi, vivere e lavorare in città, ma semplicemente – come da sempre sostenuto dall’Amministrazione comunale, supportando la scelta con piani internazionali, europei e nazionali, evidenze scientifiche e dati statistici – stabilisce una regola di natura tecnica, non politica, per garantire la sicurezza stradale, la vita umana e un traffico urbano più ordinato.
A questo proposito, la sentenza afferma testualmente: “(I ricorrenti) lamentano la lesione del diritto costituzionalmente tutelato alla libertà di circolazione. Quest’ultima, però, non è configurabile, dal momento che i provvedimenti impugnati non colpiscono il bene tutelato dalla Costituzione, in quanto non pongono limiti alla possibilità di muoversi, risiedere e lavorare liberamente sul territorio, ma dettano esclusivamente delle regole tecniche per garantire l’ordinata circolazione e l’incolumità pubblica”.