Il Comune la attendeva e alla fine la direttiva del Mit è arrivata. E stavolta il Ministero dei trasporti sembra ingabbiare sul serio Bologna 30,  specifica infatti che i 30 devono essere decisi «analiticamente » strada per strada, con motivazioni specifiche per ciascuna e solo per un tempo determinato, al termine del quale l’ordinanza va «riesaminata » .

Inoltre, « non è coerente» con le indicazioni del ministero abbassare il limite di velocità « a una pluralità di strade o a una intera area urbana » , con una identica motivazione. Infine, il ministero può incaricare i suoi uffici territoriali «di effettuare controlli sui provvedimenti» dei Comuni.

Così, dopo il confronto con Anci, dove siedono anche Comuni di centrodestra che hanno creato Città 30 ( come Olbia e Treviso), il Ministero indurisce la posizione del Mit.

La nuova direttiva appare restrittiva rispetto a quella di dieci giorni fa. Il ministero non tocca le motivazioni che possono indurre un primo cittadino ad abbassare i limiti di velocità a 30 all’ora. Anzi, tra i motivi per abbassare la velocità viene inserita anche « l’alta frequentazione di pedoni e ciclisti», come da richieste dell’Anci. La vera novità del nuovo testo è però nelle righe finali, dove si cerca di evitare che il limite dei 30 venga fissato in modo « generalizzato » su larghe porzioni di città. È proprio il caso di Bologna, che ha deciso di mettere ai 30 il 70% delle strade cittadine.

Si legge quindi nel testo: « L’ente competente ( il Comune, ndr.) deve indicare analiticamente le casistiche in atto, relativamente all’infrastruttura interessata per ciascuna delle citate esigenze e gli obiettivi che si intendono raggiungere entro un determinato arco temporale».

In sostanza: i Comuni devono indicare strada per strada il perché su quella porzione di via venga abbassato il limite di velocità e per quanto tempo. Alla scadenza, il Comune dovrà «procedere al riesame dei provvedimenti». Per essere ancora più chiari su questo punto, il Mit insiste che « non risulta coerente con l’articolo 142, comma 2 del Codice della strada una motivazione riferita indistintamente a una pluralità di strade o tratti di strada pertinenti a una intera area urbana». Vietato insomma indicare col limite dei trenta un intero pezzo di città.

Il sindaco Matteo Lepore, che ha sempre assicurato di aver seguito tutti i criteri ministeriali per la creazione di Città 30 – criteri legati agli alti tassi di incidentalità delle strade, alla presenza di luoghi sensibili come scuole, parchi, entrate e uscite carrabili, fabbriche, esercizi commerciali di vicinato, zone ad alta intensità pedonale – dovrebbe quindi secondo questa direttiva fare ordinanze analitiche e “ capillari” su ogni singolo tratto di strada attualmente ai 30 all’ora. Compreso forse anche il centro storico, che è interamente ai 30 per decisione della precedente giunta.

Non solo, tutte le 15 ordinanze più recenti emanate dal Comune per il progetto Città 30 dovrebbero essere a questo punto, probabilmente, riscritte in modo più analitico. E doverebbe essere indicato un tempo di sperimentazione, al termine del quale il Comune dovrebbe confermare (o disconfermare) l’abbassamento del limite.

«Studieremo la direttiva, che da una prima lettura ci pare essere contraddittoria… » dice l’assessora Valentina Orioli.

In particolare il rischio, nell’indicazione capillare strada per strada che vuole il Mit, è che salti non solo il progetto Bologna 30, sperimentata per 6 mesi prima del via il 16 gennaio, ma pure i vecchi provvedimenti di limitazione della velocità fatti sin dal 1989, compreso il centro storico ai 30 all’ora già in vigore da diversi anni.

Se davvero tutto fosse in discussione sarebbe un “terremoto” non solo per Bologna, ma per tutte le città che hanno attualmente delle zone a 30 all’ora.

Il testo integrale della direttiva

Fonte: Repubblica Bologna