Alessandro Delpiano, direttore dell’Area Pianificazione Territoriale e Mobilità Sostenibile della Città metropolitana di Bologna, la prima in Italia ad aver redatto un PUMS a livello metropolitano., ha risposto ad alcune domande di Go-Mobility sui Piani Urbani ella Mobilità Sostenibile (PUMS) nelle città metropolitane.

«Va premesso che noi facciamo parte di un sistema, di qualcosa che ha un futuro. Io la definisco democrazia ambientale, ovvero la possibilità di avere un sufficiente grado di qualità ambientale per tutti. Questo è un punto di riferimento della nostra attività. Si tratta delle risorse ambientali e del luogo in cui viviamo, dallo spazio pubblico all’aria: se nella tua città non hai l’aria per respirare perché è inquinata o perché le temperature sono insostenibili, non hai un futuro. Va data a tutti la possibilità di respirare aria pulita, di bere acqua potabile, di camminare per la strada della propria città: di avere il proprio ambiente. E in questo la mobilità ha un ruolo essenziale».

Il tema della mobilità, prosegue Delpiano, è stato a lungo tempo tralasciato da chi si occupava di urbanistica. Solo negli ultimi anni, accentuato in particolare con l’avvento della pandemia e delle restrizioni agli spostamenti, si è iniziato a comprendere quanto la mobilità sia un diritto fondamentale per la vita di una persona: «Se non mi posso muovere, se non ho la possibilità di spostarmi facilmente da un punto a un altro, la mia vita non è pienamente espressa»

Secondo Delpiano, ci troviamo in una fase di crisi della democrazia ambientale, data dalla progressiva riduzione delle risorse ambientali. L’aria inquinata, la siccità, il consumo di suolo, la riduzione degli spazi pubblici: «L’ambiente è sempre più costruito e compromesso, o utilizzato in forma anacronistica, come lo spazio stradale».

Il governo del territorio deve quindi avere lo scopo di porre uno sguardo lungimirante, sistemico e decisivo per contrastare la riduzione della democrazia ambientale.

In questo, la pianificazione della mobilità è parte di un ecosistema complesso: «Il PUMS metropolitano è straordinariamente funzionale, ma è uno strumento infinitesimale rispetto a un tema così importante. A Bologna con il PUMS metropolitano abbiamo prodotto effettivamente dei cambiamenti concreti nel nostro territorio. Avevamo anche un contesto favorevole: da un lato un pilastro tecnico fatto da un Ufficio metropolitano costruito ad hoc, affiancato da un team di consulenti altamente qualificato. Dall’altro, un pilastro politico composto dal sindaco metropolitano e dai Comuni che hanno creduto nella proposta. Il risultato è buono, e rispetto a prima siamo certamente in una condizione migliore: ma non è sufficiente».

Nell’ottica di progredire verso una pianificazione maggiormente strutturata e di più ampio respiro, nell’ultimo decennio a livello nazionale si è avviato un processo di riforma con una serie di decreti, tra cui il DM 397/2017. Lo scopo, come ci ricorda Delpiano, era di andare oltre l’approccio della Legge Obiettivo del governo Berlusconi (Legge 443/2001), che stabiliva le procedure e modalità di finanziamento per la realizzazione delle grandi infrastrutture strategiche in Italia: «Quella legge raccoglieva una cultura dove il meccanismo per accedere ai finanziamenti era la presentazione di progetti singoli, valutati in modo assolutamente discrezionale, su criteri di carattere sostanzialmente politico e sul valore del progetto in sé, scorporato dal contesto».

Continua Delpiano: «Le riforme del ministro Delrio hanno avuto il merito di tentare di invertire in maniera profonda quell’approccio. Si è infatti definito un sistema di finanziamento che derivasse da bandi, legato ad un sistema di valutazione basato su candidature omogenee, e soprattutto ad un sistema di pianificazione obbligatorio per la presentazione di progetti. Tutto questo a dimensione metropolitana».

Infatti, come definito dal documento “Connettere l’Italia”, il PUMS costituisce uno dei tre strumenti amministrativi  indispensabili perché ci sia accesso,  da  parte  delle  amministrazioni,  ai finanziamenti  statali  per  la  realizzazione  di  nuovi  interventi infrastrutturali relativi ai sistemi di  trasporto  rapido  di  massa (sistema ferroviario metropolitano, rete delle metropolitane,  tram). Gli altri due strumenti consistono in Progetti di fattibilità delle singole infrastrutture, redatte ai sensi del decreto legislativo  n.50 del 2016, e nel rapporto di coerenza dei progetti  presentati  con gli obiettivi e le strategie di “Connettere l’Italia:  strategie  per le infrastrutture di trasporto e logistica”.

Dal 2017 sono molte le città che hanno redatto un PUMS, dal Nord al Sud dell’Italia. Secondo l’Osservatorio PUMS, ci sono attualmente 196 Piani, di cui 98 in redazione, 45 adottati e 53approvati. Di questi, 12 sono Piani metropolitani: 6 in redazione delle Città metropolitane di Cagliari, Catania, Messina, Napoli, Roma e Venezia; 2 adottati in quelle di Bari e Torino; e 4 approvati in quelle di Bologna, Firenze, Genova e Milano.

L’innovazione apportata dalla riforma è stata anche la messa in luce del concetto di mobilità sostenibile. Questo significa che i progetti non sono più circoscritti solamente alle grandi infrastrutture (metropolitane, ferrovie ecc.), ma includono anche piste ciclabili, tram, servizi MaaS (Mobility as a Service) e così via. «I risultati di questo processo di riforma si potranno vedere solo tra anni, decenni. Per questo era fondamentale consolidarlo sempre di più: invece è stato ridotto».

In quale modo? «Ad esempio, la norma che definisce l’obbligo di avere un PUMS per poter presentare progetti è stata aggirata con una serie di proroghe. Paradossalmente, stiamo tornando in una fase molto più simile a quella della Legge Obiettivo».

Parallelamente, le ingenti risorse provenienti dal PNRR e la necessità di distribuirle rapidamente hanno portato a finanziare progetti indipendentemente dalla loro appartenenza ad un Piano: «Questo significa che non si è andati avanti nella riforma; ma che anzi stiamo tornando indietro. Il grande rischio è che nonostante le opportunità di carattere finanziario di questo periodo, non riusciremo a mantenere quegli obiettivi necessari per migliorare la qualità della vita delle nostre società e dei nostri territori».

La riforma degli enti locali, introdotta con la legge 56 del 2014, ha ridefinito l’ordinamento delle province ed istituito le Città metropolitane, inserendo tra le funzioni fondamentali proprie di queste ultime la pianificazione della mobilità e viabilità. Tuttavia, sottolinea Delpiano, non sono mai state trasferite competenze e risorse adeguate utili a creare le condizioni necessarie a svolgere in modo efficace questo compito: «L’ufficio Mobilità della Città metropolitana di Lione, ad esempio, è composto da 180 persone. Nel nostro a Bologna – sebbene non siamo Lione, e abbiamo circa un terzo della popolazione – è composto da 7 persone. In Italia ad oggi abbiamo Città metropolitane con Uffici Mobilità composti in media da 2-3 persone, e alcuni uffici dove non c’è proprio nessuno».

La “riforma a metà” ha creato dei paradossi per cui in molti casi si è redatto (o si sta redigendo) un PUMS sia a livello metropolitano che nel Comune capoluogo: succede a Napoli, Messina, Cagliari, Bari, Roma, Torino, Venezia[1]. «Non possiamo pensare che la competenza per la mobilità rimanga in capo ai Comuni. Quando ci spostiamo abbiamo i confini comunalinella nostra testa? O nelle nostre mani quando guidiamo? La mobilità non può essere governata all’interno di quasi 8.000 confini comunali». Inoltre, i sindaci metropolitani vengono eletti solo dai cittadini del capoluogo: problema che la stessa Consulta ha recentemente segnalato come incostituzionale.

A livello normativo, di flussi di finanziamenti e di attuazione degli interventi permane quindi una situazione ambigua in cui non sono chiare le suddivisioni di responsabilità e ruoli tra le Città metropolitane e i Comuni capoluogo. Tale ambiguità è segno del fatto che a livello centrale non è mai stata definita con chiarezza l’identità e l’efficacia di una politica metropolitana.

O ancora, persistono delle categorizzazioni a livello ministeriale che fanno riferimento a una concezione della mobilità ormai superata, che tuttavia ha forti conseguenze sul tipo di progetti finanziati e non finanziati: «Un esempio è quello dei BRT, i Bus Rapid Transit, che a Bologna, Firenze e Bari sono stati concepiti come servizio metropolitano. Il Ministero li classifica invece come servizi extra-urbani. Di conseguenza non sono stati finanziati, perché hanno accesso ai finanziamenti solo gli interventi di carattere urbano. Ma esiste una mobilità extra-urbana a Bologna, Firenze o Bari? Che cosa significa extra-urbano, quando in quelle aree  ci vivono e si muovono due terzi della popolazione

Lo stesso discorso vale per la ciclabilità: si finanzia solo la mobilità ciclistica urbana, quando in realtà gli spostamenti in bicicletta avvengono sempre più anche a livello metropolitano: «A Bologna è molto diffusa la presenza di lavoratori che si spostano in bicicletta da un Comune all’altro, e sono principalmente due categorie: i migranti che non possono permettersi un altro mezzo, e i giovani smart che non vogliono utilizzare altri mezzi. Si fanno anche 20 km al giorno, chi per necessità e chi perché la vede come un’occasione per fare movimento sentendosi diversi rispetto ai genitori che si spostano in auto. Per assurdo questi due estremi hanno la stessa domanda di mobilità ciclistica, ed è metropolitana. Ma per il Ministero le ciclabili sono funzionali solo in città».

Per realizzare gli obiettivi del PUMS, così come quelli di carattere più ampio relativi all’accesso a un ambiente di vita sano e di qualità, è necessaria una profonda rivisitazione delle modalità di governo dei territori. Come evidenzia uno studio dell’economista Yves Crozet, e sottolineato dallo stesso Delpiano, l’attuale ripartizione modale mostra il sostanziale fallimento di oltre vent’anni di politiche incentrate sul modal shift, con numeri che non sono molto diversi da quelli di trent’anni fa. «E non è stato per mancanza di risorse: perché quelle destinate alle strade sono esorbitanti. Se non si rafforza la Città metropolitana con risorse e competenze, completando la riforma, si rischia di perdere la dimensione metropolitana che hanno tutti i progetti del PUMS. Questi progetti necessitano di un’omogeneità politica che non si può ottenere altrimenti».

A distanza di anni dal DM 397/2017 e con molti PUMS ormai avviati, diventa sempre più necessario e urgente affrontare la questione dell’aggiornamento dei Piani, previsto ogni 5 anni. Senza la definizione di linee guida omogenee per questo processo, i rischi sono due: che i PUMS vengano modificati solo superficialmente, rimanendo vincolati a Piani redatti 5 anni prima; o che all’opposto vengano sostituiti da Piani costruiti ex-novo completamente diversi dall’originale.

Secondo Delpiano la strada da percorrere deve essere una: la creazione di un tavolo per la messa in rete di tutti i responsabili che si sono occupati dei PUMS delle Città metropolitane in Italia, per confrontarsi sulle rispettive esperienze e stabilire insieme i contenuti minimi dei Piani e le linee guida per l’aggiornamento degli stessi. «L’ambizione è andare oltre l’approccio che vede ‘l’ottimo come nemico del bene’. Perché questo è il motto di chi teme il cambiamento, e non ha il coraggio di innovare. Il ‘nemico del Bene’ è quando non si fa abbastanza, e si rimane abbondantemente al di sotto della sufficienza, come sta accadendo in Italia in materia di mobilità sostenibile. Eppure una riforma, come già ripetuto più volte, è profondamente necessaria. Semplicemente, non possiamo fare altrimenti».

fonte: GO-Mobility