Il 28 febbraio si è svolto a Bologna un incontro nazionale su “Città 30 km/h, più piano più sicuro”, con la partecipazione di amministratori locali provenienti da varie parti d’Italia.

Il fronte dei sindaci si schiera compatto al fianco di Matteo Lepore nella battaglia per la Città 30. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, è decisamente tranchant: «La direttiva di Salvini è chiaramente ispirata da volontà politica più che a una vera ricognizione delle fonti di diritto, oltre che irragionevole nella sostanza». Anche nella capitale si lavora con l’obiettivo di portare il 70% delle strade a 30 all’ora, attraverso isole ambientali che copriranno tutta la città. «Questa normativa non ha alcun valore giuridico e serve sostanzialmente a incentivare i ricorsi dal punto di vista politico è singolare che chi da una parte sostiene le ragioni dell’autonomia spinta, dall’altra dica che deve essere il ministero e non il Comune a decidere quali strade scegliere».

Ma la difesa più appassionata di Città 30 viene proprio dal centrodestra, con il sindaco di Olbia, Settimo Nizzi,esponente di Forza Italia e tra l’altro anche reduce dalla vittoria della destra nella sua città alle ultime regionali, in controtendenza con le altre province. «Noi non torneremo mai indietro su Città 30, dovrà venire qualcun altro a governare la città per farlo, perché noi abbiamo fatto tutto quanto necessario per assumere questa determinazione — ha detto Nizzi — Lepore continui a mantenere la decisione assunta, tutti i sindaci continuino a fare bene il loro lavoro, il ministro e il ministero ce lo lascino fare. Servebuonsenso, dialogo e non tornare indietro».

Anche da Verona, Damiamo Tommasi testimonia la richiesta dei cittadini di avere più sicurezza («quando si è diffusa la notizia di Bologna, ci sono arrivate molte richieste dei cittadini di mettere il limite nella loro strada»), mentre scherza sull’accoglienza della misura: «In una città universitaria quando arriva il 30 è più una gioia che un limite».

Più sfumato il commento del primo cittadino di Bergamo, Giorgio Gori, che ha rivendicato il fatto che nella sua città «è stato fatto un piano di lungo respiro, più graduale, senza un momento pubblico importante come quello di Lepore ma in questo modo abbiamo attivato meno anticorpi, nessuno ha protestato».

A Parma il sindaco Michele Guerra, vuole aumentare le zone 30 a 8 chilometri quadrati, visto che tra l’altro molti ragazzi gli chiedono di «essere liberi di non avere la macchina».

Da Milano, l’assessora alla Mobilità Arianna Censi, porta una sentenza del Consiglio di Stato che può aiutare a dirimere la questione delle competenze perché afferma: «La necessità di una fonte legislativa statale riferita a ogni singola misura darebbe luogo a una conformazione basata su previsioni predeterminate, atomistiche e standardizzate con conseguente violazione del principio di sussidiarietà che informa la stessa organizzazione dello Stato».

Nelle quotidiane difficoltà riportate anche dal sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, che sbotta: «Installare un velox fisso è quasi impossibile, manca solo il parere dell’arcivescovo tra quelli che devi andare a chiedere, dibattere sul rispetto dei limiti è eversivo».

Stefano Giorgetti, Assessore alla Mobilità di Firenze, ha detto illustrato l’esperienza di Firenze dove, oltre alla storica zona 30 del centro storico, dal 2020 sono impegnati nell’istituzione di aree a bassa velocità. Al momento circa il 45% del centro abitato è in zona 30. Si tratta di aree individuate sulla base di particolari caratteristiche all’interno di una programmazione fondata su analisi, studi e progetti. Non si sono limitati a mettere un cartello, realizzando importanti interventi infrastrutturali come quelli sugli incroci con ottimi risultati. “Non è una battaglia ideologica ma è un tassello di un progetto di città che vuole privilegiare la sicurezza stradale e la tutela dell’incolumità dei cittadini ma anche la vivibilità, la mobilita pubblica e dolce e la lotta allo smog”

Il Ministero dei Trasporti intanto insiste

Proprio nel giorno in cui in Sala Borsa sono riuniti sindaci da tutta Italia per l’iniziativa “Più piano, più sicuro”, praticamente gli Stati Generali della Città 30, il Ministero dei Trasporti scrive: «È importante che il Comune di Bologna faccia al più presto le proprie valutazioni sull’adeguamento delle ordinanze sulle aree 30 alla direttiva Mit, perché sulla circolazione stradale bisogna dare certezze ai cittadini e costruire regole che possano essere realmente rispettate. (…) Il ministero si è messo a disposizione del Comune e di Anci affinché qualsiasi riduzione del limite di velocità da 50 a 30 chilometri orari sia il risultato di valutazioni tecniche relative alle caratteristiche di ciascuna strada o tratto di strada e alle condizioni di utilizzo il codice della strada non è un ostacolo all’esercizio dell’autonomia dei Comuni, ma una garanzia che qualsiasi scelta sui limiti di velocità sia adottata secondo un metodo analitico e rigoroso, capace di ponderare i molteplici interessi in gioco, incluso quello alla mobilità dei cittadini».

Il Comune di Bologna tiene duro

La strategia del Sindaco di Bologna Lepore è chiara: tenere duro sulla Città 30, misura bandiera che è in grado di riunire anche una compagine di sindaci trasversale e mettere tutti davanti ai dati che confermano la validità del provvedimento.

Ieri una nuova rilevazione che attesa un + 29% degli spostamenti in bicicletta, oltre alla diminuzione di incidenti del 16%.

«In un mese abbiamo fatto 2.600 controlli, tutto sommato poche multe — ha detto Lepore — Noi siamo tranquillissimi sul fatto che non ci sarà nessuna disapplicazione e si andrà avanti».

Altro fonte aperto, le ciclabili

Marco Granelli, assessore milanese seduto al tavolo dell’Anci, spiega che in realtà i fronti aperti sono più di uno. Non ci sono solo le Città 30 e gli autovelox, nel mirino di Salvini, ma anche le piste ciclabili in non sede protetta, quelle per capirsi che sono disegnate direttamente sull’asfalto che a Bologna sono molto diffuse. «Il disegno di legge di riforma al codice della strada, arrivato in commissione trasporti alla Camera, toglie la possibilità di fare queste ciclabili dove c’è passa il trasporto pubblico e dove c’è possibilità di averle in sede dedicata — spiega Granelli — noi se questo testo va avanti ci troveremo a dover addirittura cancellare delle ciclabili, dopo che abbiamo passato anni a cercare di aumentarle, per la sicurezza dei ciclisti».

“La direttiva del ministero va subito impugnata, è irrazionale”

Lo ha detto durante il convegno Andrea Morrone (professore di Diritto costituzionale all’Università di Bologna: “Nel codice della strada si prevede che siano i Comuni a stabilire i limiti di velocità. I problemi sollevati dalla direttiva del Ministero dei trasporti sono di costituzionalità, legalità, competenza e leale collaborazione. C’è un tema legale enorme, è la direttiva che va impugnata davanti al giudice perché non tiene dal punto di vista della razionalità giuridica».

«Il codice della strada, da cui partiamo, è del 1992 ed è stato più volte modificato. In una delle tante norme del codice, che si rivolge alle autonomie, si prevede che siano i Comuni e le città a stabilire i limiti di velocità, tendo conto di direttive del ministro dei Trasporti. Le direttive sono stabilite come vincolanti, questo è dunque un punto critico, su cui poggia la legittimazione che Salvini ritiene di dover seguire».

Il codice della strada «Non è adeguato a due passaggi cruciali: la riforma delle autonomie, che ha valorizzato il fatto che sono i Comuni i centri dell’amministrazione della Repubblica italiana, anche e a maggior ragione del punto di vista della regolazione del traffico urbano. Il secondo punto ignorato è la riforma del 2022 che ha costituzionalizzato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema». «Non si tiene conto né del livello di autonomia che tutto il Paese, né del principio di sviluppo di politiche ecocompatibili, una cosa necessaria dal punto di vista costituzionale».

«Che il codice della strada, che è una legge, rinvii a direttive del ministro, quindi atti che non sono norme, ma che si vorrebbe vincolanti le città, è un “mostruosità” tecnica. La soluzione conforme a Costituzione è, in ogni caso, riconoscere che la direttiva stabilisce una mera cornice, non essendo legittimo disporre in dettaglio, strada per strada».

«È evidente che bisogna partire dai problemi concreti: la realtà differenziata di 8 mila Comuni non può essere decisa dal livello centrale».

«Il principio di leale collaborazione significa che i sindaci, che governano le città, devono misurare le politiche in relazione a esperienze contingenti, verificare caso per caso, periodicamente, se ci sono le condizioni e le giustificazioni che legittimano uno sviluppo eco-compatibile nel quadro nazionale. In quel caso le politiche locali sono sacrosante».

fonte: Repubblica Bologna