Durante l’ultimo convegno RespiraMI, che si è tenuto nei giorni scorsi a Milano per fare il punto sugli effetti dell’inquinamento sulla salute, sono emerse ulteriori prove di quanto ci facciano male inquinanti come biossido di azoto e particolato atmosferico.
Ora preoccupano soprattutto le conseguenze su salute mentale e cervello, che fino a qualche tempo fa non erano inclusi fra i bersagli dello smog: i dati dello studio DeprAir, coordinato da Michele Carugno della Fondazione Irccs Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, dimostrano per esempio su circa 500 pazienti con depressione che i sintomi del disturbo dell’umore si acuiscono quando l’aria è più sporca.
Con un incremento di 10 microgrammi per metro cubo del biossido di azoto, le cui fonti principali sono il traffico delle auto e il riscaldamento, la depressione peggiora e così anche il funzionamento sociale; con un analogo aumento dei livelli di particolato gli effetti sono evidenti soprattutto in chi ha un equilibrio più instabile perché per esempio ha altre patologie croniche con un discreto livello di infiammazione generale, come il diabete. E quando l’aria è più inquinata, in chi soffre di depressione peggiorano pure l’appetito e il sonno.
«Questi, insieme a molti altri dati emersi negli ultimi tempi, confermano che dobbiamo agire a livello personale, di comunità e politico per ridurre lo smog», osserva Sergio Harari, direttore dell’Unità operativa di Pneumologia e di Medicina interna dell’ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e co-coordinatore scientifico del convegno RespiraMI.
Continua Harari: «Non possiamo smettere di respirare, ma nei giorni in cui si registrano picchi di smog, per esempio, possiamo proteggerci uscendo con le mascherine FFP2. Anche semplici regole di buonsenso possono essere d’aiuto: è meglio non fare attività fisica come la corsa in aree con un intenso traffico, se si hanno bimbi piccoli bisogna preferire passeggini che li tengano più in alto rispetto al livello della strada».
Una cautela indispensabile perché, per esempio, uno studio danese condotto nel 2023 su un milione di bambini e ragazzi fino ai 19 anni dimostra che l’esposizione precoce allo smog, anche a livelli non necessariamente elevati, aumenta il rischio di ammalarsi di asma. Senza contare gli effetti dell’inquinamento su chi ancora non è neppure nato: una ricerca spagnola che ha seguito circa mille future mamme e i loro bimbi ha rilevato che l’esposizione allo smog in gravidanza ha effetti sullo sviluppo cerebrale del feto e poi del bimbo dopo la nascita, modificando parametri come le connessioni nervose e lo sviluppo motorio e cognitivo. Un dato che conferma quanto emerso da studi.
«Di fronte allo smog delle nostre città non siamo inermi come pensiamo», dice Harari. «Possiamo fare molto per esempio per migliorare la qualità dell’aria indoor, dove peraltro passiamo la maggior parte del tempo: esempi di buone abitudini sono arieggiare le stanze al mattino presto, quando ci sono poche auto anche nelle strade più trafficate; arricchire gli ambienti con il verde, che purifica l’aria; limitare l’uso di stufe e caminetti o quantomeno controllare che siano ben installati e che la manutenzione sia corretta. «Anche altre scelte quotidiane incidono molto più di quello che crediamo sulla qualità dell’aria e tutti siamo chiamati a impegnarci: scegliere la mobilità sostenibile, non mangiare cibi fuori stagione o ridurre il consumo di animali allevati in maniera intensiva sono tutti mezzi che ciascuno di noi ha per contribuire in maniera decisiva a migliorare l’aria che respiriamo», conclude.
Cuore e polmoni sono le prime «vittime» dello smog: biossido di azoto e particolato sono ritenuti direttamente responsabili di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari come ictus e infarti, oltre che di malattie respiratorie e tumore al polmone. Nuovi dati presentati al congresso RespiraMI sottolineano inoltre che il riscaldamento globale può ulteriormente esacerbare le conseguenze dello smog proprio su cuore e vasi, perché con l’aumento delle temperature gli inquinanti diventano ancora più deleteri sull’apparato cardiovascolare. Interventi mirati a ridurre il traffico possono tuttavia proteggere la salute dei cittadini: in Germania, per esempio, uno studio in 69 città ha dimostrato che l’introduzione di zone a traffico limitato ha ridotto del 2-3 per cento i problemi cardiaci e del 7-12 per cento gli ictus, soprattutto negli anziani.
fonte: Corriere.it