Repubblica Milano ha intervistato Gabriele Grea, docente di Urban mobility management all’Università Bocconi, sui numeri della sharing mobility diffusi da AMAT.

Grea ha evidenziato che non scendono le auto per abitante e questa è giù una spiegazione della crisi del settore. Poi ci sono delle motivazioni specifiche per quanto riguarda il car sharing.

«È una situazione generalizzata, legata a tanti fattori, differenziata da città in città. Il car sharing ha dei costi fissi e dei costi variabili che sono un pochino penalizzanti. Ha sicuramente faticato di più rispetto alle altre forme di sharing a riprendersi dal Covid. A Milano ha identificato alcune nicchie per cui si è stabilizzato su una dimensione marginale fatta però di utenti solidi. Questo però non è sufficiente. La logica vorrebbe che l’integrazione del car sharing fosse stimolata da una serie di iniziative e cambiamenti di modelli culturali che potrebbero portare a una diffusione maggiore. Il numero di veicoli pro-capite non scende come ci si aspetterebbe e quindi non si registra quell’effetto di sostituzione con i mezzi in sharing dei veicoli privati».

«Oggi il car sharing è meno efficace sulle medie e brevi distanze perché ci sono alternative. Potrebbe posizionarsi su un raggio di distanze più ampie in una logica più suburbana. Anche questo, però, ha una serie di criticità: da un lato farebbe aumentare l’utilizzo, dall’altro significherebbe portare il car sharing fuori dalla sua comfort zone, l’area densamente popolata dove si effettuano molti interscambi, per approdare alla logica del pendolarismo. Estendere all’hinterland, però, vorrebbe sicuramente dire avere percorrenze più lunghe, una maggiore platea di utenti eccetera».

Migliori prospettive ci potrebbero essere per i mezzi leggeri «I maggiori operatori gestiscono sia bici che monopattini e soddisfano tipologie di domande leggermente diverse. Bisogna che il contesto infrastrutturale e regolatorio diventi davvero favorevole ai mezzi alternativi di mobilità che impattano di meno su congestione e inquinamento. Se continuiamo a considerarli come residuali o nemici della mobilità, non creiamo spazi di sviluppo».

fonte: Repubblica Milano