Saranno salve (almeno per quest’anno, ma forse anche per quelli a venire) le 240 mila auto diesel Euro 5 che dal prossimo autunno avrebbero dovuto restare ferme nei garage per i blocchi antismog. Dal Parlamento è arrivato infatti il via libera all’emendamento al decreto infrastrutture che prevede il rinvio di un anno allo stop. La nuova scadenza è fissata al 1° ottobre 2026, anziché al 1° ottobre 2025.

La proroga era stata invocata, tra gli altri, dallo stesso presidente Alberto Cirio e interessa Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, le regioni del bacino padano più colpite dall’inquinamento atmosferico. Ma la vera novità del provvedimento, voluto dal ministro Matteo Salvini (mentre il ministero dell’Ambiente era più scettico), è che le limitazioni si applicheranno «in via prioritaria nelle aree urbane dei comuni con oltre 100 mila abitanti», e non più sopra la soglia dei 30 mila, come previsto finora. In questo modo, dal 2026 ogni Regione potrà decidere di non inserire nei propri piani di qualità dell’aria il blocco degli Euro 5, a patto che adottino misure alternative in grado di raggiungere gli stessi obiettivi ambientali stabiliti a livello europeo. Una possibilità, questa, che era stata richiesta a gran voce dai governatori, che già due anni fa avevano ottenuto una prima proroga al blocco dei diesel più inquinanti e l’innalzamento della soglia di popolazione per i Comuni da 15 mila a 30 mila.

Il vicepremier leghista si dice soddisfatto: «È una scelta di buonsenso». E anche il presidente Cirio plaude all’iniziativa del Parlamento: «L’approvazione dell’emendamento in commissione ambiente alla Camera sui diesel Euro 5 va in una direzione che, come presidenti di Regione, condividiamo e sosteniamo da tempo. Ringraziamo il governo e il Parlamento del prezioso lavoro che stanno portando avanti. È una buona notizia che punta a tutelare l’ambiente – garantendo analoghi effetti sulla qualità dell’aria – senza bloccare le auto e senza penalizzare famiglie e imprese». L’assessore regionale all’Ambiente, Matteo Marnati, anche lui della Lega, sottolinea: «È un emendamento serio, come serio e responsabile è da sempre l’approccio della Regione su questo tema. Perché, se da un lato sposta la data del blocco Euro 5 al 2026, nello stesso tempo ci dà la possibilità di evitarlo anche dopo, compensando con misure alternative».

Marnati chiarisce che la Regione è già al lavoro in questa direzione: «Abbiamo previsto nella revisione del piano per la qualità dell’aria misure capaci di compensare il blocco delle auto e raggiungere gli stessi obiettivi di riduzione dell’inquinamento senza impattare sul diritto alla mobilità di milioni di cittadini. L’emendamento consente di non applicare il blocco nei comuni sotto i 100 mila abitanti, ma grazie allo strumento delle misure compensative permetterà – preannuncia – di non fermare i diesel Euro 5 neanche in città più grandi come Torino e Novara».

Di segno del tutto contrario il commento del Comitato Torino Respira, insieme alle alle associazioni ambientaliste.

Non è bastato lo scandalo Dieselgate, probabilmente la più grave truffa industriale mai operata, col fine di occultare le emissioni reali di una tecnologia estremamente inquinante; e non sono bastate tre condanne a carico dell’Italia, da parte della Corte di Giustizia Europea, per il sistematico superamento delle concentrazioni di inquinanti atmosferici, quali il biossido di azoto, che viene in gran parte proprio dai mezzi diesel. Ma, soprattutto, non bastano, al ministro dei Trasporti, le oltre 50mila morti premature per inquinamento atmosferico registrate annualmente nel nostro Paese, con la Pianura Padana maglia nera, in Europa, di una crisi sanitaria enorme. Il diritto di guidare mezzi vetusti e inquinanti vale più di quello alla salute?

Quella di oggi è l’ennesima misura dilatoria populista. Si finge di voler tutelare chi guida mezzi altamente inquinanti, e oramai vecchi anche di quindici anni, ma non si dice che i costi stimati dell’inquinamento atmosferico, in Italia, tra il 2024 e il 2030, sono il 6% del PIL nazionale. Anche questi impattano sull’economia dei cittadini”, concludono gli ambientalisti.

Fonte: Corriere.it