Nei giorni scorsi una mamma di due gemelli è morta perché l’autista di un mezzo pesante l’ha agganciata sulle strisce pedonali e l’ha investita. L’omicida è scappato, ma è stato rintracciato dopo poche ore e arrestato.

Questo è successo a Milano, in uno di quelli che senza ironia e con una buona dose di dolore, possiamo ben definire gli autentici “incroci milanesi”. Ci sono molte cose da dire, e come spesso accade questo evento è il prodotto della concomitanza di molti fattori: disegno urbano, criteri di gestione del traffico, formazione degli autisti di mezzi pesanti, regole e tecnologie, sfruttamento dei lavoratori.

Però ce n’è una che su tutte vale la pena di mettere in luce. La vittima, stava attraversando sulle strisce pedonali, avendo il semaforo verde per i pedoni, su uno stradone urbano di proporzioni inquietanti, una specie di raccordo anulare in minore.
Anche l’autista del camion aveva il verde per la svolta a destra. Non l’ha vista? Ha equivocato la sua possibile esitazione ad attraversare pur avendo lei la precedenza in base al Codice della Strada? Probabilmente non lo sapremo mai.

Quello che sappiamo è che quell’incrocio semaforizzato è stato progettato con in mente un solo criterio di ingegneria dei trasporti: l’imperativo sciagurato di fluidificare il traffico (che incidentalmente è lo stesso principio tuttora addotto dai tecnici del comune per negare semafori a chiamata in altri luoghi critici come viale Brianza, pure questo un vialone pericolosissimo).
I pedoni e i ciclisti, in questo disegno della città, non sono pervenuti, verosimilmente perché i manuali in dotazione ai tecnici comunali non ne fanno menzione come gli utenti della strada i cui bisogni dovrebbero venire prima e al di sopra di quelli di tutti gli altri, perché sono i più vulnerabili.

Tre cose che il comune di Milano può fare subito, senza aspettare fondi internazionali per la trasformazione urbana e senza timore di ricorsi al TAR:
1. Rivedere completamente i tempi semaforici negli incroci più a rischio (che sono notissimi), abbandonando l’idea folle di fluidificare il traffico e dando la priorità alla sicurezza.
2. Formare i tecnici comunali, tutti, non solo i nuovi assunti, sulla base di criteri nuovi di disegno della città.
3. Affermare nuovi principi di urbanistica e di ingegneria dei trasporti nel PGTU in fase di revisione, dalle cui priorità discenderà a cascata un mandato chiaro per i tecnici.

Certo, è difficile riformare macchine complesse e stratificate come l’amministrazione di una grande città.
Ma andatelo a raccontare ai gemellini, salvati dalla madre in un ultimo disperato gesto, quando saranno abbastanza grandi da capire che sono orfani non per un colpo di sfortuna ma a causa di criteri di ingegneria dei trasporti che come in tanti altri ambiti continuano a mettere le cose al di sopra delle persone.

Basta.

fonte: Claudio Magliulo, direttore Clean Cities Campaign