L’Assessora alla MObilità del Comune di Milano, Arianna censi, in una intervista fa il punto sulla mobilità in città.
Assessora Censi, lei ha elaborato il parere del Comitato europeo delle Regioni (CdR) sul ruolo degli enti locali nella «rivoluzione europea dell’idrogeno». Quali sono i punti chiave e qual è stata la reazione dell’Unione europea?
«Il parere sulla Hydrogen bank europea, che in realtà è tutto meno che una banca, riguarda l’intenzione annunciata da Ursula von der Leyen di prevedere incentivi economici consistenti per sostenere la produzione e la distribuzione di idrogeno verde, ma anche la ricerca. È uscita una prima tranche di seicento milioni tre settimane fa ed entro la primavera del 2024 uscirà una call di finanziamento da oltre tre miliardi. Qual è il tema che abbiamo cercato di evidenziare con il parere degli amministratori? Queste politiche si sostengono anche grazie alla costruzione di luoghi fisici, che possono essere la Hydrogen valley o l’esperienza che sta facendo Atm sull’utilizzo dell’idrogeno. Non bisogna poi sottovalutare la formazione del personale, che aiuterebbe la capacità di reazione alle domande delle imprese da parte della pubblica amministrazione. Questo è un punto che hanno sottolineato alcuni amministratori trentini, valdostani e pugliesi: Milano sta andando nella direzione condivisa da alcune grandi Regioni. Trovo l’Europa amica in questo momento».
Qual è il ruolo – attuale e potenziale – dell’idrogeno nella decarbonizzazione dei trasporti milanesi?
«I vantaggi sono legati primariamente al trasporto pubblico locale pesante. L’uso dell’idrogeno non è associato alle auto o ai mezzi di superficie leggeri: serve per i treni, gli autoarticolati, i mezzi di trasporto a lunga percorrenza, e su questo Atm sta facendo un lavoro gigantesco, esattamente come sta avvenendo con l’elettrico lungo l’intera flotta. I finanziamenti riguarderanno anche il raffrescamento e il riscaldamento delle case».
È passato un anno dall’ordine del giorno del consiglio comunale su Milano Città 30. Come ha intenzione di muoversi la giunta?
«Le indicazioni del consiglio comunale ci dicono di andare verso una città più sicura, con condizioni di mobilità che mettano al centro la sicurezza delle persone. E noi lo stiamo facendo. Abbiamo scelto di partire dalle scuole come hub di trasformazione del contesto circostante. Poiché in ogni quartiere c’è una scuola, questo processo avverrà in maniera armonica e condivisa. È importante una prossimità alle scuole che sia sicura, in cui le auto vanno piano, con spazi ciclabili protetti e di pedonalizzazione. Stiamo realizzando i principi che hanno ispirato l’ordine del giorno del consiglio comunale».
Arrivare a una Città 30 “di fatto ma non di nome”, anche attraverso l’istituzione di specifiche Zone 30 e autovelox nelle strade scolastiche, non rischia di trasmettere un messaggio poco incisivo alla cittadinanza? Anche in termini di comunicazione. Bologna ha approvato una delibera ad hoc e pare stia andando bene.
«Gli autovelox nelle strade scolastiche non possiamo metterli. La delibera di Bologna, dal punto di vista dei riferimenti normativi, fa riferimento all’esperienza di Milano. Poi loro hanno avuto il coraggio di fare questa norma, e sono stati molto bravi. Noi agiamo quotidianamente in questa direzione cercando di mantenere un equilibrio. Sul messaggio poco incisivo, però, non so rispondere. Sulla comunicazione ci sono talmente tante cose da migliorare che lei ha certamente ragione, ma non credo si avverta una titubanza da parte nostra: su tutte le questioni che riguardano la sicurezza siamo molto orientati e decisi».
Al di là dei numeri e dei trend, è stato un 2023 drammatico per quanto riguarda i morti sulle strade. Suona come un paradosso, ma a Milano aumentano le ciclabili e i milanesi si sentono sempre meno sicuri quando pedalano.
«Io sono abituata a muovermi rispetto ai numeri. E le persone che usano la bicicletta nel tragitto casa-lavoro o casa-studio sono in costante aumento, esattamente com’è in aumento il numero di chilometri di piste e corsie ciclabili. È chiaro che, all’aumentare dei ciclisti, sale statisticamente la possibilità di incidente. Stando alle nostre verifiche, la maggior parte degli incidenti mortali avviene con i mezzi pesanti, in particolar modo a causa degli angoli ciechi. Su questo abbiamo assunto una decisione coraggiosa, ma non siamo stati aiutati dalla sentenza del Tar. Ad ogni modo, faremo di tutto per abbassare il numero di incidenti: il nostro obiettivo è lo zero. Le persone, però, devono sforzarsi a rispettare il codice della strada: le garantisco che la maggior parte degli incidenti era legato al mancato rispetto delle norme. Nel caso dell’angolo cieco sui mezzi pesanti siamo intervenuti, e stiamo cercando di spostare le auto dalle carreggiate per fare più spazio. Ma è anche un discorso di responsabilità individuale».
Lei era presente all’ultima “ciclabile umana” in viale Monza: oltre alla nuova squadra di vigili contro la sosta selvaggia, cosa intendete fare per rendere più sicura l’infrastruttura? Sono previsti cordoli o incroci colorati come in corso Buenos Aires?
«L’infrastruttura di viale Monza è già sicura e in linea con le progettazioni di qualsiasi città europea. Il tema è: non bisogna parcheggiarci sopra. Io sono andata a quella manifestazione perché chi protesta ha ragione. Va sanzionato il comportamento. Quello che abbiamo fatto in Buenos Aires, invece, dimostra che l’eliminazione dei parcheggi produce più spazio fisico per tutti. Io, che percorro regolarmente quella via, le garantisco che il traffico in corso Buenos Aires non è aumentato, anzi. A volte le persone raccontano le cose interpretando il loro pensiero, magari perché sono contrarie all’eliminazione dei parcheggi. Lì passano diecimila biciclette al giorno! Voglio poi specificare che le ciclabili le facciamo anche per i bambini e tutte le persone che usano la bici per muoversi in tranquillità: è questa l’idea di città che abbiamo in mente».
Per combattere la sosta selvaggia (e liberare le strade dalle auto) serve anche uno sforzo di immaginazione. A Vitoria, ad esempio, in ciascun quartiere sono stati individuati degli edifici dismessi, poi trasformati in grandi parcheggi. A Milano sarebbe possibile una cosa simile?
«Stiamo procedendo in linea con il Piano urbano dei parcheggi: abbiamo tantissimi parcheggi in struttura e daremo la possibilità di costruirne altri. Ma c’è di più. Stiamo lavorando per decidere su questi spazi – pubblici e privati – per tipologia. Il motivo? Tra tanti anni avremo una città completamente diversa e il numero di auto sarà infinitamente più basso, quindi l’esigenza di aree di sosta risulterà ridotta. Ecco perché dobbiamo pensare a parcheggi che siano costruiti oggi per avere una vita diversa domani».
Cosa ne pensa del referendum di Parigi (sarà il 4 febbraio) per aumentare le tariffe della sosta per i Suv dei non residenti?
«Non è una stupidaggine. Più grande è il mezzo, più spazio pubblico occupa. La dimensione è determinante. Trovo sinceramente che sia una cosa giusta. Applicarla però non è semplice, e noi in questo momento non ce ne stiamo occupando. Così come non abbiamo in programma di fare un’operazione per rendere a pagamento la sosta per i residenti. Stiamo facendo un lavoro di razionalizzazione e di miglioramento, per esempio limitando a due ore la possibilità di sostare in Area C. In ogni caso, è una riflessione su cui stiamo lavorando perché attiene tanto alla disponibilità dei parcheggi e dello spazio in carreggiata».
Il trasporto pubblico è ancora in sofferenza?
«Noi ci mettiamo oltre il trentacinque per cento del bilancio di parte corrente, e siamo l’unica città in Italia a farlo. Ecco perché serve l’aiuto del governo. Non c’è politica di transizione ambientale che non punti i piedi sul trasporto pubblico locale. Noi non ce la facciamo più da soli, e abbiamo comunque deciso di non intervenire sulle tariffe (l’aumento a 2,20 euro del biglietto Atm è frutto di un adeguamento Istat imposto da Regione Lombardia, ndr). Oggi i disservizi non sono legati a tagli nostri, ma a una carenza ormai drammatica di autisti. Questo non riguarda solo Milano, ma tante altre città europee: Varsavia, Barcellona, Lione e molte città tedesche – pur avendo salari più competitivi dei nostri – hanno lo stesso problema. È un tema di comparto su cui bisogna fare un intervento che non può essere di natura comunale».
fonte: Linkiesta