Due incidenti gravi in poche ore, tre in pochi giorni. Gli ultimi episodi registrati sulle strade della città impongono di riportare l’attenzione su un tema molto delicato e parecchio dibattuto, quello della sicurezza stradale. Soprattutto quando si parla di pedoni o ciclisti investiti da auto e camion. Nel 2023, “a fare notizia” erano state le tante, troppe, persone morte in sella alla loro bicicletta (sei in soli otto mesi, di cui cinque erano donne).

Quest’anno, a fare impressione, sono gli incidenti che hanno coinvolto i pedoni. L’ultima vittima è stata uccisa lo scorso 11 dicembre al Portello, travolta sulle strisce pedonali da un camion mentre attraversava la strada con i suoi due bimbi nel passeggino. In gravissime condizioni è invece un’altra donna, di 52 anni, investita al Lorenteggio venerdì pomeriggio. Sempre sulle strisce pedonali. Di poche ore prima è un altro episodio, al Gratosoglio, dove un pirata della strada ha lasciato sull’asfalto di via Enrico De Nicola una donna di 39 anni e il figlio disabile, anche loro ricoverati in gravi condizioni.

I vigili e il Comune di Milano ancora non hanno fatto i conti del 2024, ma un report molto dettagliato dell’Asaps (Associazione sostenitori e amici della polizia stradale) ha messo nero su bianco luogo e data degli incidenti mortali. È l’Osservatorio pedoni 2024, aggiornato al 15 dicembre: 361 morti in Italia, di cui 58 in Lombardia (la prima Regione per numero di decessi), con un focus su Milano e provincia che ne conta 16, di cui cinque a Milano città. « Non sono numeri ufficiali e, visti i nostri parametri di analisi, vanno comunque rivisti al rialzo » , spiega il presidente Giordano Biserni.

«Gli incidenti mortali non sono in aumento», precisa il comandante dei vigili milanesi Gianluca Mirabelli. Niente allarmismi, dunque, ma «negli anni non diminuiscono mai abbastanza e la causa prevalente è la stessa, la distrazione » . Spiega Mirabelli: « Noi come polizia locale stiamo facendo il massimo, soprattutto dal punto di vista della prevenzione. Dobbiamo far vedere che ci siamo: così, anche la sera e la notte mettiamo a disposizione tutte le risorse che possiamo investire. I posti di controllo, adesempio, non vogliono essere una misura repressiva, ma preventiva». Negli incidenti di questiultimi giorni salta all’occhio un particolare, l’omissione di soccorso. Chi non si ferma, fortunatamente, viene però quasi sempre preso nel giro di poche ore: «Con il reparto radiomobile e i nostri nuclei siamo a oltre il 90 per cento di persone che rintracciamo nell’arco della giornata. Sugli incidenti più gravi siamo anche alcento per cento». Le vittime sono spesso anziani e persone fragili. E ci sono dati, sia a livello italiano che europeo, che evidenziano, ad esempio, una particolare esposizione per le donne quando girano a piedi per le strade della città. A citarli è Tommaso Goisis, attivista di “ Sai che puoi”, il quale, nei giorni scorsi, ha partecipato ad un presidio organizzato dalla rete di “ Città delle Persone” che si mobilita ad ogni vittima.

«C’è un numero molto significativo della Commissione Europea che spiega come nel 2022, sul totale delle donne morte in strada il 32 per cento si spostava a piedi, mentre la percentuale scende per gli uomini e si ferma al 16 per cento». E ancora: «In generale, gli uomini sono in media responsabili degli scontri stradali tre volte più delle donne, in particolare a causa del non rispetto dei limiti di velocità».

Su questo aspetto Repubblica Milano ha interpellato Florencia Andreola, ricercatrice e urbanista di 40 anni, è cofondatrice di Sex and The City, un’associazione milanese che si occupa di urbanistica di genere: “Le città sono create a misura d’uomo e di automobile. Non sono pensate per le donne e le altre persone più fragili, che si spostano a piedi » « Sono soprattutto le donne a camminare per strada spingendo passeggini e carrozzine.”
Si può evitare episodi simili «Restituendo spazi alle persone e togliendoli alle auto. Bisogna dare priorità a una mobilità di quartiere, pedonale e collettiva, partendo dal presupposto che non tutti ci spostiamo allo stesso modo, per esempio tra uomini e donne. Insomma: ripensando la città in una prospettiva di genere».
L’urbanistica di genere «È una disciplina ancora poco diffusa in Italia, ma in alcune città come Vienna, Barcellona e la svedese Umeå è praticata da tempo. Significa ripensare la città, dal momento che donne e minoranze di genere hanno bisogni diversi rispetto agli uomini». «Le donne continuano a svolgere il 75% del lavoro di cura non retribuito, quindi usano certi servizi e hanno orari e spostamenti diversi rispetto a chi esce di mattina per andare al lavoro e tornare a casa la sera. Le donne si muovono meno in macchina, preferiscono mezzi pubblici, andare in bici o a piedi. Questo per una minore propensione all’uso dell’auto, ma anche per una questione di povertà o perché nel nucleo familiare, se c’è una sola auto, è l’uomo a usarla.”
Una città come Milano potrebbe “Innanzitutto fornire dati divisi tra i generi, per quanto riguarda la mobilità e l’uso dei mezzi pubblici. Solo così si potrebbero comprendere i problemi e rispondere ai bisogni di chi vorrebbe una mobilità dolce, ma si ritrova in una città dominata dalle auto. Se ci pensiamo a pagare le conseguenze di barriere architettoniche, marciapiedi sconnessi e senza rampe sono soprattuto le persone che si spostano a piedi, magari con passeggini. Per lo più donne. E’ difficile avviare politiche del genere anche perché c’è la convinzione che queste differenze in città non esistono. Ma senza sguardo di genere è difficile orientare gli investimenti in modo utile. E così spesso si favorisce un utente medio che medio non è. Ma quello che esce in auto la mattina per tornare a casa la sera: quindi soprattutto un uomo».

fonte: Repubblica