Curando da ormai un anno l’Osservatorio sulla Mobilità Urbana Sostenibile del Kyoto Club e della Clean Cities Campaign, su 18 città italiane (Bari, Bergamo, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Padova, Palermo. Parma, Prato, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) ogni giorno leggo notizie relative alla mobilità in queste città.
Ogni volta che le amministrazioni cercano di introdurre limitazioni alla circolazione delle auto o solo alla riduzione degli spazi da esse utilizzati (piste ciclabili, percorsi riservati per gli autobus, linee tranviarie, riduzioni di parcheggi, ecc.) sono immediate le levate di scudi di alcune categorie di cittadini (in primis i commercianti). [a proposito dello spazio occupato dalle auto nelle nostre città vedi Quanto spazio occupano le auto nelle nostre città e Il modello autocentrico e le strade: il concetto di STROAD]
Recentemente, ad esempio, è stata rinviata l’attivazione di una ZTL a Genova per la realizzazione di parcheggi “kiss & pay”, a Messina vibrate proteste perchè nel PUMS approvato si prevedono nuove pedonalizzazioni e piste ciclabili e si è ricorso persino al TAR (perdendo) contro questo provvedimento.
D’altra parte personalmente ricordo quando, alcuni decenni fa, persino quando fu deciso di pedonalizzare via Calzaiuoli (la strada che a Firenze dal Duomo arriva a Piazza Signoria) i commercianti protestarono. Oggi la stessa via è la prima in Italia per traffico pedonale e shopping, come ha rilevato una recente ricerca.
Per questo ripropongo qui di seguito un articolo molto interessante di un ingegnere per i trasporti e la mobilità, Mathieu Chassignet, della ADEME (Agenzia francese per la transizione ecologica) che mostra come i dati reali smentiscono le preoccupazioni “auto-centriche” dei commercianti e indicano che invece ridisegnare gli spazi urbani ponendo al centro le persone e non le auto costituisce una soluzione che produce anche risultati positivi in termini di clienti per i negozianti.
Vedi l’articolo completo su Ambientenonsolo
“No parking, no business” in centro città: un mito da smontare